Il mesotelioma è una delle patologie amianto più insidiosa. Spesse volte porta alla morte della vittima che avviene tra gravi sofferenze. La tutela legale passa quindi spesso ai familiari superstiti che hanno diritto al risarcimento integrale dei danni spettanti alla vittime oltre che al risarcimento di quelli patiti personalmente.
Con un breve lasso di tempo tra la lesione e la morte spesso il mesotelioma connesso all’esposizione a fibre di amianto genera non solo un danno biologico pari al 100%, un danno morale ed esistenziale, ma anche un danno tanatologico.
La pubblicazione dell’Avvocato Ezio Bonanni, Presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto “Il danno da amianto-Profili risarcitori e tutela medico-legale“ tratta questi argomenti. La pericolosità per la salute di inalare o ingerire fibre di asbesto è confermata dall’ultima monografia IARC.
Il danno tanatologico può essere definito come il danno conseguente alla sofferenza patita dal defunto prima di morire, a causa delle lesioni fisiche derivanti da un’azione illecita compiuta da terzi. Questo pregiudizio può essere definito anche danno da perdita della vita. Questa tipologia di danno sussiste in caso di decesso avvenuto senza apprezzabile lasso di tempo tra lesione e morte. In questo modo si può presumere che la morte sia esclusivamente effetto della lesione subita.
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Qual è quindi la definizione di danno tanatalogico? Il danno tanatologico consiste nella perdita del bene vita, autonomo e diverso dal bene salute. Questo fa quindi riferimento a un valore dell’esistenza del danneggiato, immateriale o non direttamente monetizzabile. Per questo è compreso nella categoria del danno non patrimoniale (ex art. 2059 c.c.).
Il diritto alla vita è espressamente riconosciuto da diversi atti internazionali, come la Dichiarazione universale dei diritti umani (1948), la CEDU (Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950) e i Patti internazionali sui diritti civili e politici (1966). Inoltre, in Italia, il bene vita trova un’implicita legittimazione negli artt. 2 e 32 della Costituzione.
Il danno da perdita della vita è un pregiudizio non patrimoniale non ancora universalmente accettato nel suo principio costitutivo e nei suoi effetti civili, soprattutto ai fini del risarcimento. Il tema particolarmente dibattuto è se il diritto a esso possa essere trasmissibile agli eredi. Infatti, a seguito della morte di una persona causata dalla condotta illecita altrui, le persone vicine alla vittima hanno diritto, provandone l’esistenza, al risarcimento del danno alla propria integrità psico-fisica, patita a causa dell’evento luttuoso che li ha colpiti.
L’orientamento maggioritario non condivide l’esistenza del danno tanatologico. Il motivo è che mancherebbe un titolare del diritto al risarcimento del danno da morte, dato che il soggetto leso è deceduto e il diritto al ristoro non sarebbe trasmissibile agli eredi. Infatti il danno derivante dalla perdita in sé del bene della vita è fruibile solo dal titolare, la vittima primaria. Esso è perciò insuscettibile di essere liquidato per equivalente. Pertanto, qualora il decesso si verifichi immediatamente o dopo breve tempo dalle lesioni personali, deve escludersi la risarcibilità iure hereditatis del danno tanatologico.
A tal proposito la Cassazione civile, sez. un. 22 luglio 2015 n. 15350, ha stabilito che “nel caso di morte immediata o che segua entro brevissimo lasso di tempo alle lesioni non può essere invocato un diritto al risarcimento del danno iure hereditatis. Se, infatti, è alla lesione che si rapportano i danni, questi entrano e possono logicamente entrare nel patrimonio del lesionato solo in quanto e fin quando il medesimo sia in vita. Questo spentosi, cessa anche la capacità di acquistare, che presuppone necessariamente l’esistenza di un soggetto di diritto“.
Per la quantificazione del risarcimento del danno tanatologico è possibile far riferimento alle tabelle del Tribunale di Milano. Queste, infatti, sono inerenti al risarcimento del danno non patrimoniale e sono utili per il calcolo danno tanatologico.
Gli importi devono poi essere integrati con un’opportuna personalizzazione dell’ammontare del danno, considerando il caso concreto. Si deve quindi tener conto delle effettive sofferenze patite dalla vittima del danno, compresa la dimensione temporale e la gravità dell’illecito da cui deriva la morte.
Il risarcimento è calcolato in base a determinati parametri:
Infine, per quanto riguarda la prescrizione del diritto al risarcimento del danno, la richiesta va inviata entro il termine massimo di 14 anni. Questo diventa 36 anni in caso di omicidio stradale plurimo aggravato da guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di stupefacenti.
Non esiste una normativa unitaria che riconosce il danno tanatologico e la sua risarcibilità. Infatti ci sono state diverse sentenze discordanti.
Tuttavia l’orientamento maggioritario non condivide l’esistenza del danno tanatologico, in quanto mancherebbe un titolare del diritto al risarcimento del danno da morte. Infatti il soggetto leso è deceduto e il diritto al ristoro non sarebbe trasmissibile agli eredi.
La vittima può ottenere il risarcimento di un bene non patrimoniale, se questa è ancora in vita. Il presupposto per acquisire il diritto alla reintegrazione della perdita subita è la capacità giuridica individuabile soltanto in un soggetto esistente (art. 2 c.c). Deve perciò escludersi la risarcibilità del danno tanatologico iure hereditatis, in ragione dell’assenza del soggetto al quale è collegabile la perdita del bene.
Inoltre le Sezioni Unite hanno precisato che esso non è rimborsabile se il decesso si verifica immediatamente o dopo breve tempo dalle lesioni personali.
Perciò, attualmente, il quadro giurisprudenziale prevalente è orientato a riconoscere l’autonoma risarcibilità del danno catastrofale e del danno biologico terminale trasmissibili iure hereditario, ma a negare la risarcibilità del danno tanatologico in sé.
Negli anni la giurisprudenza ha affrontato in diverse occasioni il problema del riconoscimento e del risarcimento del danno tanatologico.
Per esempio Cassazione civile, sentenza 15706/2010 dichiara che la lesione dell’integrità fisica con esito letale è configurabile come danno risarcibile agli eredi solo se sia trascorso un lasso di tempo apprezzabile tra le lesioni subite dalla vittima del danno e la morte.
Anche la Cassazione civile, Sez. III, 20292/2012 ha stabilito che: “è da escludere la configurabilità del danno tanatologico (o da morte) qualora il decesso coincida sostanzialmente con il momento della lesione personale“.
Inoltre si è in conflitto per quanto riguarda la risarcibilità del danno tanatologico, cioè il danno derivante dalla perdita in sé del bene della vita. Infatti esso è relativo alla vittima primaria, ma deve essere fatto valere come danno iure hereditatis dai congiunti.
In generale la giurisprudenza sembra escludere la risarcibilità del danno tanatologico. Essendo il bene vita fruibile solo dal titolare, esso è insuscettibile di essere liquidato per equivalente. Pertanto, qualora il decesso si verifichi immediatamente o dopo breve tempo dalle lesioni personali, deve escludersi la risarcibilità iure hereditatis del danno tanatologico.
Invece la Corte di Cassazione, nella sentenza 1361/2014, per la prima volta, ha riconosciuto il diritto al risarcimento danno da morte della vittima trasmissibile iure hereditatis agli eredi. Ciò è ribadito anche dalla Cassazione nella sentenza 5056/2014, precisando che: “nel nostro ordinamento, risarcibile è non già la lesione in sé di un interesse giuridicamente tutelato (danno evento), quanto piuttosto solo il pregiudizio concretamente sofferto dalla vittima in conseguenza di detta lesione (danno conseguenza). Quello della perdita della vita costituirebbe danno risarcibile ex sé nella sua oggettività a favore della persona offesa“.
Infine le Sezioni Unite, con la sentenza 15350/2015, hanno disposto che il presupposto per il risarcimento del danno da perdita della vita sarebbe la “capacità giuridica riconoscibile soltanto a un soggetto esistente” (ex art. 2, c.c.).
Perciò il calcolo danno da morte prevede un’entità in sé non risarcibile. “In caso di morte cagionata da un illecito, il pregiudizio conseguente è costituito dalla perdita della vita, bene giuridico autonomo rispetto alla salute, fruibile solo in natura dal titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente“.
Inoltre la sentenza chiarisce che, quando il decesso si verifica immediatamente o dopo breve tempo dalle lesioni personali, deve escludersi la risarcibilità iure hereditatis perché:
In altre parole, se è alla lesione che si rapportano i danni, questi entrano e possono logicamente entrare nel patrimonio del lesionato solo e fin quando il medesimo è in vita. Una volta deceduto, cessa anche la capacità di acquistare, che presuppone necessariamente l’esistenza di un soggetto di diritto.
L’evento morte causato da una condotta illecita di terzi è generalmente idoneo ad arrecare un danno alla sfera giuridica di due tipi di soggetti: la vittima e i familiari.
Ognuno di questi soggetti può subire due tipologie di pregiudizio:
I superstiti del defunto potranno quindi agire in giudizio non solo il danno iure proprio per i pregiudizi direttamente sofferti, ma anche iure hereditatis per quelli patiti dal coniuge in vita, poi trasmessi agli eredi con la morte. Nei danni iure hereditatis sono compresi anche il danno biologico terminale e il danno catastrofale.
In particolare il danno biologico terminale, riferito ai giorni intercorsi tra la data delle lesioni e quella del decesso, è trasmissibile iure successionis. Ma ciò è possibile solo quando la persona ferita non muoia immediatamente, sopravvivendo per almeno ventiquattro ore. Questa è la durata minima, per convenzione legale, ai fini dell’apprezzabilità dell’invalidità temporanea.
Invece il danno morale terminale o danno catastrofale consiste nella sofferenza provocata dalla consapevolezza di dover morire. Perciò è risarcibile solo se la vittima è in grado di comprendere che la propria fine è imminente.
Per quanto riguarda il danno tanatologico, questo è un tipo di pregiudizio non patrimoniale la cui configurabilità e trasmissibilità agli eredi è stata particolarmente discussa.
Infatti le Sezioni Unite hanno più volte escluso la possibilità del risarcimento di questo danno iure hereditatis, perché questo fa parte del patrimonio del lesionato solo fino a quando la vittima è in vita. Dunque con la morte cessa l’esistenza di un soggetto di diritto.