L’amianto causa gravi danni alla salute in chi ne è stato esposto. Recentemente, la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza 35416/2022, ha trattato il tema del danno biologico permanente causato dalle malattie amianto. Il tema del danno biologico da malattie amianto è infatti centrale nella più recente giurisprudenza.
In particolare, il caso specifico riguarda una vittima di tumore polmonare da amianto. Nel pronunciarsi, la Corte ha chiarito diversi aspetti del risarcimento dei danni, distinguendo le varie tipologie di pregiudizio contratte dalla vittima in base all’invalidità sofferta.
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Una vittima, in seguito a una malattia causata dall’esposizione ad amianto, può sviluppare una patologia ingravescente. Queste patologie comportano per il paziente, in futuro, un maggiore rischio di peggioramento dello stato di salute. Ciò non vale per quelle malattie che, invece, hanno menomazioni stabilizzate.
Secondo la Corte di Cassazione “dopo un primo evento lesivo, si determinano ulteriori conseguenze pregiudizievoli. Queste, però, costituiscono un mero sviluppo e un aggravamento del danno già insorto e non la manifestazione di una lesione nuova e autonoma rispetto a quella manifestatasi con l’esaurimento dell’azione del responsabile. In simili situazioni, dopo la somministrazione delle cure necessarie a ristabilire il paziente, si è avuta la stabilizzazione del nuovo status, caratterizzato dalla inemendabilità delle peggiorate condizioni di salute. Ma è incontestabile che il danno biologico permanente rimanga tale, sebbene gli effetti dell’illecito ben possono accentuarsi”.
Il maggior rischio di aggravamento evolutivo della patologia, che può portare anche alla morte o alla contrazione di altre malattie, non costituisce quindi una conseguenza dannosa distinta rispetto a quelle pregiudizievoli per la salute riconducibili alla stessa patologia. Tuttavia contribuisce a integrare il complessivo stato invalidante.
Perciò la Cassazione considera il danno alla salute da esposizione all’amianto, derivato da patologia ingravescente, come un danno biologico permanente, da liquidare attraverso le Tabelle del Tribunale di Milano.
Con la sentenza 35416/2022, la Corte di Cassazione stabilisce che per le neoplasie causate da inalazione di amianto (in questo caso il tumore al polmone) e, in generale, per tutte le malattie ingravescenti con alta probabilità o certezza di evoluzione sfavorevole, l’incapacità biologica temporanea perdura in relazione alla durata della malattia. Questa può cessare con la guarigione e il pieno recupero delle proprie capacite, oppure con l’adattamento alle mutate condizioni o, ancora, con la morte.
Una volta arrivati a una stabilizzazione della malattia spetta il risarcimento del danno non patrimoniale, in particolare del danno biologico. Questo andrà liquidato come invalidità permanente, utilizzando il criterio equitativo puro o le apposite tabelle.
La determinazione del danno biologico da invalidità permanente deve avvenire alla luce delle concrete condizioni di salute del singolo e del periodo di sopravvivenza prevedibile in relazione alla patologia diagnosticata. Occorre però considerare il maggiore rischio per il paziente di subire, anche a distanza di tempo, una ripresa e sviluppo del fattore patogeno, che potrebbe condurre al decesso.
La Corte di Cassazione, con questa sentenza, ha confermato i principi stabiliti da Cassazione, Sezione Lavoro, 35228/2022, che aveva accolto le tesi dell’Avv. Ezio Bonanni.
Devono essere risarciti tutti i danni, al netto dell’indennizzo INAIL, come “la lesione temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito (art. 138, comma 2, lett. a, e D.Lgs. n. 209 del 2005 art. 139, c. 2)”.
Si definisce invalidità una situazione patita dal soggetto, a causa della lesione della salute, prima di essere ritenuto dai medici clinicamente guarito. È quindi il periodo di tempo occorrente per la somministrazione delle cure necessarie a ristabilire il completo recupero psicofisico del paziente, al quale consegue:
Si distingue così l’invalidità permanente da quella temporanea. Nel caso di inabilità temporanea, il soggetto è leso in modo temporaneo. Essa può essere totale, quando il soggetto è impossibilitato completamente, ma non definitivamente, oppure parziale, quando si limita a interdire solo alcune delle attività dell’essere umano.
Il pregiudizio da invalidità temporanea deve essere riconosciuto quando “il danneggiato si sia sottoposto a periodi di cure necessarie per conservare o ridurre il grado di invalidità residuato al fatto lesivo o impedirne l’aumento, inteso come privazione della capacità psico-fisica in corrispondenza di ciascun periodo e in proporzione al grado effettivo di inabilità sofferto”.
L’invalidità permanente, invece, “costituisce uno stato menomativo, stabile e non remissibile, che si consolida soltanto all’esito di un periodo di malattia. Non può, quindi, sussistere prima della sua cessazione” (Cass., sentenza 5197/2015).
Quindi il pregiudizio da invalidità permanente decorre dal momento della cessazione della malattia e della relativa stabilizzazione dei postumi. Questi sono permanenti, in ragione “del loro collocarsi cronologicamente in un tempo successivo rispetto ad un pregresso diverso stato patologico”.
Il discorso invece è più complesso in caso di patologie ingravescenti, come le malattie asbesto correlate.
Ai fini della liquidazione del danno biologico, la giurisprudenza ha più volte ribadito che sia il pregiudizio da invalidità permanente sia quello da invalidità temporanea devono formare oggetto di autonoma valutazione.
In particolare “il danno biologico di natura permanente deve essere determinato dalla cessazione di quello temporaneo, giacché altrimenti la contemporanea liquidazione di entrambe le componenti comporterebbe la duplicazione dello stesso danno” (Cass., Sez. 3, n. 26897 del 19 dicembre 2014).
Invece, in caso di decesso della vittima, avvenuto senza stabilizzazione, risulta rilevante il danno terminale. Esso è “un danno biologico temporaneo che consiste nell’incapacità del soggetto di attendere alle comuni attività quotidiane e allo svolgimento delle relazioni sociali per un tempo limitato, in quanto destinato a cessare, in considerazione della natura letale della lesione, con l’exitus, ossia con la definitiva estinzione della persona fisica”.
La Corte di Cassazione stabilisce che, in questo caso, per la liquidazione del danno può essere utilizzato il criterio equitativo puro o le apposite tabelle, con il massimo di personalizzazione riguardo l’entità e l’intensità del pregiudizio.
Tuttavia il danno terminale va distinto dal danno biologico da postumi invalidanti di natura permanente. Infatti, il danno terminale “esclude per antonomasia una guarigione e prelude al prossimo decesso. Si identifica non nella intervenuta stabilizzazione delle minorate condizioni di capacità psicofisica, ma nell’evento-morte“.
Le vittime che hanno subito un danno biologico permanente da amianto possono richiedere il risarcimento dei danni. L’ONA-Osservatorio Nazionale Amianto e il suo presidente, l’Avvocato Bonanni, forniscono assistenza legale alle vittime e ai loro familiari.
Questi hanno diritto anche alle prestazioni INAIL, ai benefici contributivi e al prepensionamento. Invece, se si è appartenenti alle Forze Armate o al Comparto Sicurezza, si può fare domanda per la causa di servizio e per il riconoscimento dello status di vittima del dovere.
Per avere maggiori informazioni è possibile chiamare il numero verde o compilare il form.