I disastri ambientali che sono stati più volte denunciati, sono il risultato delle ecomafie, termine con il quale si identificano gli effetti delle mafie sull’ambiente. Con il termine ecomafie o ecomafia non ci si riferisce soltanto al fenomeno mafioso, quando piuttosto a tutte le organizzazioni criminali, quindi alle mafie. Quindi con il termine ecomafie si indicano tutte le attività delle mafie. Dunque le singole attività della ecomafia.
L’ONA – Osservatorio Nazionale Amianto, poichè tra i rifiuti oggetto di traffico e quindi della criminalità mafiosa vi è proprio l’amianto, ha sempre segnalato questa criticità. Non a caso, già a suo tempo, lo stesso Avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Associazione delle vittime dell’Amianto, quando fu nominato dal Ministro dell’Ambiente, Gen. Sergio Costa, aveva identificato il problema.
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Ecomafia è un neologismo coniato per la prima volta da Legambiente, associazione ambientalista. Per ecomafia definizione indica tutte le attività illegali perpetrate dalle organizzazioni criminali di stampo mafioso che arrecano danni all’ambiente.
Come già accennato, compaiono tra le attività delle ecomafie il traffico illegale e lo smaltimento illegale dei rifiuti, pericolosi e non, ma anche il traffico di buste shoppers illegali, l’abusivismo edilizio su larga scala, incendi boschivi e illegalità nel mercato dell’agro alimentare.
Questo insieme di crimini ambientali frutta alle ecomafie un indotto milionario ogni anno.
Dal Premier Draghi, alla Presidente Meloni, pur con la cattura di Matteo Messina Denaro e della sorella (03.03.2023), rimaniamo al palo per l’amianto.
Questo terribile cancerogeno continua a mietere vittime. Questo anche perchè gli alti costi scoraggiano le bonifiche e spesso incoraggiano la illegalità delle ecomafie. Infatti, l’ecomafia,nel triangolo della morte, quello di Gela, Ragusa e Siracusa; piuttosto che Augusta, Melilli,Priolo Gargallo e Siracusa, ha provocato e provoca migliaia di morti.
Quindi è fondamentale incentivare i comportamenti virtuosi per la bonifica e la messa in sicurezza, e per il trattamento legale dei rifiuti. In modo particolare, proprio per l’asbesto, la discarica in attesa che siano efficaci gli strumenti di trattamento dell’amianto, con l’inertizzazione.
Per contrastare le ecomafie, è innanzitutto indispensabile la cultura della legalità e una serie di azioni che facilitino le condotte legali.si occupa di salute e di tutela dei lavoratori esposti a sostanze cancerogene. Ma anche di prevenzione primaria, oltre che secondaria e terziaria.
Consapevoli che non esiste tutela della salute senza salvaguardia dell’ambiente promuoviamo il rispetto dell’ambiente. Ai rifiuti tossici smaltiti illegalmente in discariche abusive è connesso l’aumento di gravi malattie. Anche l’amianto, ancora presente nel nostro paese nella misura di tonnellate, è troppo spesso trattato in modo inopportuno causando un ulteriore aumento delle malattie amianto correlate.
Le ecomafie non si occupano solo di rifiuti causando disastri ambientali, ma anche di incendi boschivi, abuso edilizio, traffico di animali selvatici e ogni attività connessa ai reati che mettono a rischio l’ambiente.
Tra queste il mesotelioma, una delle più gravi e dall’esito di solito infausto. In questa guida approfondiamo il tema delle ecomafie e la loro presenza in Italia. Scopriamo la normativa di riferimento ovvero la cosiddetta legge sugli ecoreati.
Nel 1982 con l’emanazione del D.P.R. (DECRETO DEL PRESIDENTE) 10 settembre 1982, n. 915 (“Attuazione delle direttive (CEE) n. 75/442 relativa ai rifiuti, n. 76/403 relativa allo smaltimento dei policlorodifenili e dei policlorotrifenili e n. 78/319 relativa ai rifiuti tossici e nocivi”), abbiamo avuto a che fare con le prime notizie sull’operato delle ecomafie.
I primi reati che segnano il legame tra mafia e rifiuti furono accertati nel 1991. Sei imprenditori ed amministratori furono condannati nella Settima Sezione del Tribunale di Napoli per abuso di ufficio e corruzione e assolti dal reato di associazione mafiosa. Il crimine ambientale riguardava lo smaltimento dei rifiuti.
Per vedere coniato il termine ecomafia bisognerà aspettare ancora qualche anno. La parola appare per la prima volta nel 1994 in un documento pubblicato dall’associazione italiana Legambiente, intitolato Le ecomafie – il ruolo della criminalità organizzata nell’illegalità ambientale, redatto in collaborazione con Eurispes e con l’Arma dei Carabinieri.
Nel 1997 si pubblica il primo Rapporto Ecomafia di Legambiente che da allora, ogni anno, fa il punto sulla situazione nel nostro paese.
Nel 1995, inoltre, è stata istituita la “Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti”.
La legge 22 maggio 2015, n. 68, ha introdotto una riforma di ampio respiro del diritto penale dell’ambiente. Questa nuova normativa ha integrato quella già esistente nella struttura del Codice Penale, che contemplava, già il disastro ambientale innominato. Infatti, già con l’art.434 c.p., era previsto il c.d. disastro ambientale. Tanto è vero che il magnate svizzero Stephan Schmidheiny, titolare della multinazionale Eternit, fu processato per la morte di migliaia di dipendenti e cittadini.
Le maggiori attività di lucro delle ecomafie sono costituite proprio dagli sversamenti di amianto su terreni, con rischio per la popolazione. Purtroppo, la pratica costruttiva con cemento amianto, detto eternit, e così con lo stesso termine utilizzato per la multinazionale, titolare del brevetto, ha determinato la contaminazione generalizzata.
Infatti, a più di 30 anni dall’entrata in vigore del divieto di utilizzo di amianto con la legge 257/92, il nostro territorio è ancora cosparso di costruzioni con eternit. Si deve procedere alla bonifica per evitare i rischi per la salute. Infatti, l’amianto è un pericoloso cancerogeno e non è l’unico. Oltre al mesotelioma, questi minerali fibrosi provocano tumore del polmone, tumore della laringe, tumore delle ovaie e asbestosi. Queste sono le malattie amianto correlate per eccellenza e poi ci sono tutte le altre. Ma non solo, le ecomafie determinano delle contaminazioni che vanno ben oltre la presenza dei minerali di asbesto.
Questa riforma ha permesso l’adeguamento dell’ordinamento italiano alla normativa europea in materia di ambiente. Come abbiamo evidenziato, la nostra civiltà giuridica ci aveva permesso di contemplare la tutela contro qualsiasi disastro tra cui quello ambientale. Infatti, il vecchio articolo 434 del c.p. aveva retto al vaglio della Corte Costituzionale, ed è stato lo strumento del processo Eternit.
Solo la prescrizione ha salvato il magnate svizzero Stephan Schmidheiny dalla condanna. Grazie alla forte mobilitazione di tutte le associazioni, tra le quali l’Osservatorio Amianto, questa legislazione è stata adeguata. In questo modo ha trovato piena attuazione la direttiva 2008/99/CE. In questo modo, dall’apparato sanzionatorio strutturato su illeciti di pericolo astratto, a delle fattispecie di danno effettivo e concreto.
La legge 68/2015 ha introdotto il Titolo VI bis, nel Libro II, dedicato ai Delitti contro l’ambiente, che introduce cinque figure delittuose.
Cos’è un disastro ambientale? Il disastro ambientale è un fenomeno con una vasta ricaduta sull’ambiente e sulla salute degli organismi che lo abitano e dell’uomo. Esso può avere origine naturale o antropica e si definisce tale nei casi in cui risulta catastrofico per:
Se le cause del fenomeno sono naturali si parla solitamente di disastro naturale o calamità naturale, ovvero di un evento catastrofico, ragionevolmente imprevedibile e di ordine naturale.
Il disastro ambientale invece non deriva da fattori naturali, ma il confine tra i due può essere labile. I disastri naturali infatti possono essere amplificati dalle attività antropiche. Per esempio la deforestazione di un’area collinare o montana può far sì che una pioggia di bassa intensità provochi una frana devastante e quindi un disastro.
Il delitto di disastro ambientale è disciplinato dall’art. 452-quater c.p. il quale prevede che:
«Fuori dai casi previsti dall’articolo 434, chiunque abusivamente cagiona un disastro ambientale è punito con la reclusione da cinque a quindici anni. Costituiscono disastro ambientale alternativamente:
1) l’alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema;
2) l’alterazione dell’equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali;
3) l’offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo.
Quando il disastro è prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, la pena è aumentata».
Il reato è quindi punibile indipendentemente dalla lesione o messa in pericolo della vita umana, basandosi sulla componente ambientale in un’ottica del tutto eco-centrica della tutela stessa.
Il disastro innominato e il disastro ambientale sono due fattispecie che continuano di fatto a coesistere.
Il reato di inquinamento ambientale e quello di disastro ambientale, come già detto, sono disciplinati rispettivamente dagli articoli 452-bis c.p. e 452-quater c.p., entrambi introdotti dalla L. 22 maggio 2015, n. 68 (Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente).
Per il primo è prevista la reclusione da due a sei anni e la multa da euro 10.000 a euro 100.000 per chiunque abusivamente cagioni una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo; di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna.
Per il secondo è prevista la reclusione da cinque a quindici anni in caso, alternativamente, di alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema, alterazione dell’equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali; offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo.
Le condotte punite dalle due fattispecie possano sembrare simili e non sempre, in concreto, facilmente distinguibili. Ci ha pensato la sentenza della Corte di Cassazione Penale, Sez. III, n. 46170 del 3 novembre 2016, a sottolineare come la reversibilità o meno del fenomeno inquinante assuma rilievo nella distinzione tra le due fattispecie.
Con il termine di ecoreato, di derivazione giornalistica, si intendono invece tanto i disastri naturali quanto il reato di inquinamento ambientale, in quanto entrambi producono una deturpazione ambientale ed ecologica.
Nel 2018 la legge sugli ecoreati è stata applicata dalle forze dell’ordine per 1.108 volte, più di tre al giorno, con una crescita pari a +129%. Nel 2018, secondo il rapporto di Legambiente è stata applicata in 218 contestazioni legate all’inquinamento ambientale, con una crescita del 55,7% rispetto all’anno precedente, 88 volte in caso di disastro ambientale e 86 sono state le contestazioni per il delitto di traffico organizzato di rifiuti (15 casi di traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività, 6 delitti colposi contro l’ambiente, 6 di impedimento al controllo e 2 di omessa bonifica).
Il 45% degli illeciti legati all’ambiente e all’operato delle ecomafie si concentrano in Campania, Calabria, Puglia e Sicilia. La Campania domina nel 2018 la classifica regionale delle illegalità ambientali con 3.862 illeciti (14,4% sul totale nazionale), seguita dalla Calabria (3.240). La Toscana è, dopo il Lazio che ha registrato poco più di 2.000 reati. Ovvero, la seconda regione del Centro Italia per numero di reati (1.836), seguita dalla Lombardia, al settimo posto nazionale. La provincia con il numero più alto di illeciti si conferma Napoli (1.360), poi Roma (1.037), Bari (711), Palermo (671) e Avellino (667).
Il rapporto di Legambiente sulle ecomafie del 2021, nonostante il calo dei controlli effettuati dalle forze dell’ordine in relazione alla pandemia da Covid-19, evidenzia che i crimini ambientali sono stati lo 0,6 per cento in più rispetto all’anno precedente. “Sempre alta l’incidenza dei reati ambientali – si legge nel rapporto – nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa, Sicilia, Campania, Puglia e Calabria, dove sono stati 16.262 (il 46,6 per cento del totale), con 134 arresti: nel 2019 erano stati ‘soltanto’ 86. Nel complesso, il mercato illegale pesa sull’economia per 10,4 miliardi di euro”.
La natura è sotto attacco: codice rosso per boschi e fauna, con 4.233 reati relativi agli incendi boschivi (+8,1%), e 8.193 quelli contro gli animali.
L’aggressione alle risorse ambientali del Paese si traduce in un giro d’affari che solo nel 2018 ha fruttato all’ecomafia ben 16,6 miliardi di euro, 2,5 in più rispetto all’anno precedente.
I dati che raccontano come questo avviene sono raccolti da Legambiente nel report annuale dedicato alle illegalità ambientali, Ecomafia 2021. Le storie e i numeri della criminalità ambientale in Italia in vendita in libreria edito da Edizioni Ambiente.
L’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) mette nero su bianco i numeri che riguardano il rogo dei rifiuti da parte delle ecomafie.
Una tonnellata di rifiuti bruciati produce 1.8 tonnellate di CO2. Ogni tonnellata, per essere smaltita, prevede un costo tra i 160€ ai 240€.
Numerosi sono gli ecoreati che si sono susseguiti nel nostro paese in relazione allo smaltimento di rifiuti speciali e tossici e che attraverso il rogo e lo smaltimento illegale di rifiuti tossici e/o radioattivi hanno causato disastri ambientali. Ne citiamo alcuni.
Nel 1958 a Trieste viene inaugurata la discarica di Trebicianodove fino agli anni 70 furono conferiti in modo incontrollato rifiuti di ogni genere contaminando le acque del sottostante fiume sotterraneo Timavo.
Nel 1979 a La Spezia inizia il conferimento di rifiuti nella discarica di Pitelli dove verranno conferiti abusivamente anche rifiuti tossici.
Dal 1994 inizia a manifestarsi la crisi dei rifiuti in Campania, che da allora si è ripetuta periodicamente ed è tuttora parzialmente irrisolta. Molti morti per tumori e altre patologie nell’area nota come Terra dei Fuochi a causa dello sversamento nell’ambiente di rifiuti tossici industriali e della combustione incontrollata di rifiuti con il coinvolgimento della camorra nelle attività di smaltimento dei rifiuti.
Nel 2016 c’è stata una crescita esponenziale degli ecoreati legati ai rifiuti nel Nord Italia. Il nome dell’operazione di polizia che ha portato al sequestro di ben 4 aziende, con 29 persone indagate per crimini ambientali è stato Escalation, 180.000 tonnellate di rifiuti, tra cui anche rifiuti “speciali”.
Nel 2007 nel bacino idrografico della Val Pescara si scopre una decennale attività di occultamento di rifiuti tossici che ne fa la discarica abusiva di rifiuti tossici maggiore d’Italia.
A Cogoleto l’aumento della mortalità per tumori è causato dalla Stoppani, con 92.000 m³ di fanghi tossici stoccati nella discarica di Pian di Masino contenenti elevatissime quantità di metalli pesanti. Le concentrazioni di cromo esavalente nelle acque di falda sono risultate 64.000 volte superiori al limite.
In Italia, ci sono 52 siti di interesse nazionale (SIN), sia a terra che in aree marine, individuati in base alla quantità e pericolosità degli inquinanti presenti e del loro impatto ambientale, devono ancora essere bonificati.
La superficie complessiva a terra dei SIN è di circa 170.000 ettari e rappresenta lo 0,57% della superficie del territorio italiano. L’estensione complessiva delle aree a mare ricomprese nei SIN è di circa 77.000 ettari. Sul sito dell’ISPRA sono presenti tutti gli aggiornamenti.
Con l’espressione Terra dei Fuochi si intende una estesa area della Campania a cavallo tra le province di Napoli e di Caserta, particolarmente interessate dall’attività illegale delle ecomafie e in particolare dall’interramento illegale di rifiuti tossici e seciali e ai roghi di rifiuti. I roghi dei rifiuti tossici sprigionano nell’aria sostanze nocive come la diossina, pericolose per la salute degli esseri viventi che vivono nelle vicinanze.
L’espressione nasce negli anni 2000. Nel 2003 fu usata nel Rapporto Ecomafie di quell’anno di Legambiente e in seguito da Roberto Saviano nel libro Gomorra.
Le indagine scientifiche hanno evidenziato una correlazione tra i fenomeni in atto nella Terra dei Fuochi e l’aumento del numero di casi di neoplasie tiroidee.
SMA Campania, una società in house che si occupa del contrasto di questi fenomeno ha messo a punto:
Il triangolo della morte Acerra-Nola-Marigliano è un’area compresa tra i comuni di Acerra, Nola e Marigliano in Campania. Tra le criticità anche quelle dell’amianto, come per la Sacelit di Volla, presso cui erano realizzati i materiali in cemento amianto.
In questi anni, l’ONA ha segnalato diversi casi di discariche di amianto. Lo sversamento di eternit è ancora fenomeno abituale, incrementato dalla camorra e da questi traffici mafiosi.
La zona è tristemente nota per il forte aumento della mortalità per cancro della popolazione locale, correlato allo smaltimento illegale di rifiuti tossici in Italia da parte della Camorra. I rifiuti erano provenienti principalmente dalle regioni industrializzate del Nord-Italia.
La definizione venne utilizzata nell’agosto 2004 dalla rivista scientifica The Lancet Oncology che pubblicò uno studio di Kathryn Senior e Alfredo Mazza dal titolo: Italian “Triangle of death” linked to waste crisis (Il “Triangolo della morte” italiano connesso alla crisi dei rifiuti).
In Puglia lo smaltimento illegale di rifiuti è in escalation, come ha dimostrato l’Avvocato Ezio Bonanni.
Perfino all’interno della città di Bari, fino al 2016, erano presenti i rifiuti e le strutture della Fibronit. Questo ritardo nella bonifica e messa in sicurezza ha moltiplicato le occasioni di dispersioni delle fibre di amianto. Così, sono stati censiti dall’Avv. Ezio Bonanni almeno 400 casi di mesotelioma, legati al ritardo della bonifica di questo sito.
La criticità della Puglia è legata anche alle infiltrazioni della Sacra Corona Unita, una organizzazione mafiosa non di secondo piano. Oltre alle discariche su larga scala, si registrano sversamenti di rifiuti anche nelle aree rurali. Tanto è vero che specialmente nelle zone limitrofe al vecchio stabilimento Fibronit all’interno della città di Bari sono stati riscontrati molti casi di mesotelioma pleurico.
Il traffico illegale di rifiuti gestito dalla mafia calabrese estende i suoi tentacoli in tutta Italia, soprattutto in Toscana. La ‘ndrangheta continua a essere l’organizzazione criminale numero uno in queste azioni illecite. L’operazione dei Carabinieri e della DDA di Firenze ha portato alla luce la relazione tra ‘ndrangheta e traffico di rifiuti con 23 arresti. Stefano Ciafani e Fausto Ferruzza, rispettivamente presidente nazionale e regionale di Legambiente hanno dichiarato: “siamo esterrefatti e preoccupati per le evidenze di cui siamo venuti a conoscenza con l’operazione Keu”.
Questa operazione riguarda lo smaltimento di rifiuti speciali prodotti dal Distretto Conciario di Santa Croce sull’Arno. Le ceneri, classificate “Keu” perché fortemente inquinanti, venivano miscelate con altri materiali e riutilizzate in attività edilizie. Sono circa 8mila le tonnellate di rifiuti contaminati smaltiti abusivamente o usati nella realizzazione del V lotto della strada 429 in Valdelsa.
Questa scoperta ha messo in allarme i cittadini toscani nelle zone coinvolte che hanno paura anche di mangiare le verdure dei loro orti.
“I dati e le storie presentati in questa nuova edizione del rapporto Ecomafia 2020 – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – raccontano un quadro preoccupante sulle illegalità ambientali e sul ruolo che ricoprono le organizzazioni criminali, anche al Centro-Nord, nell’era pre-Covid”.
“Se da un lato aumentato i reati ambientali, dall’altra parte la pressione dello Stato, fortunatamente, non si è arrestata. Anzi. I nuovi strumenti di repressione garantiti dalla legge 68 del 2015, che siamo riusciti a far approvare dal Parlamento dopo 21 anni di lavoro, stanno mostrando tutta la loro validità sia sul fronte repressivo sia su quello della prevenzione.
Non bisogna però abbassare la guardia, perché le mafie in questo periodo di pandemia si stanno muovendo e sfruttano proprio la crisi economica e sociale per estendere ancora di più la loro presenza”.
“L’Osservatorio Nazionale Amianto si occupa di tutelare gli esposti ad amianto e ad altri cancerogeni. Inoltre, l’associazione svolge la sua attività contro tutte le forme di mafia, compresa quella ambientale. Difatti, la questione amianto è molto legata alla problematica delle ecomafie. Tanto è vero che in diversi casi, sono state interrate nel sottosuolo enormi quantità di amianto.
Purtroppo com’è noto, questo materiale è ancora presente in edifici e discariche. Nonostante il fatto che le sue fibre, se inalate, si rivelano letali. Come lo sono i rifiuti velenosi smaltiti illegalmente. È ora che le persone aprano gli occhi e inizino a capire che non bisogna voltare le spalle ma denunciare e combattere per la nostra salute e per l’ambiente”.
La grave emergenza di contaminazione di amianto nel nostro Paese è denunciata proprio dall’Avv. Ezio Bonanni nella sua pubblicazione “Il libro bianco delle morti di amianto in Italia-Ed.2022“. Oltre a fornire un quadro sulle tutele che hanno a disposizione le vittime di esposizione ad amianto e altri cancerogeni, illustra anche l’importanza della prevenzione primaria. Per ridurre ogni rischio per la propria salute occorre effettuare la bonifica dei siti contaminati. I cittadini possono segnalare la presenza di aree contaminate grazie all’App Amianto.
È possibile ricevere maggiori informazioni e richiedere la consulenza gratuita chiamando il numero verde o compilando il form.